Da oggi si comincia ad intraprendere finalmente il nostro viaggio letterario attraverso i secoli e attraverso le letterature e tradizioni, alla scoperta degli elfi.
Iniziamo con la tradizione tedesca e scandinava, e faremo un salto fino a Shakespeare.
Ovviamente non possiamo fare una ricerca filologica completa in una sola tappa. Dobbiamo partire da un semplice piccolo interrogativo: cosa sono gli elfi e come si è arrivati a immaginarli come facciamo oggi?
La Tradizione Scandinava
Risponderemo a questo interrogativo, partendo però dalla tradizione scandinava, e più in particolare dalla preliminare descrizione degli elfi dell’autrice Chiesa Isnardi:
“Detti in nordico álfar (sing. álfr), formano un gruppo distinto di esseri sovrannaturali ai quali è attribuita natura
divina. […]
In particolare l’uso di cospargere con il sangue di un bue il tumulo in cui abitavano gli elfi ricorda l’offerta di burro o
grassi (ma anche monete e spilli) nelle cosiddette älvkvarnar (älv è elfo in svedese) che si trovavano in Svezia. Esse
sono una sorta di ciotole o scodelle scavate su lastroni di pietra e risalenti all’ultima fase dell’Età della Pietra; la
credenza popolare le considerava pietre sacrificali.
Il carattere del culto degli elfi richiama per certi versi quello delle divinità femminili dette dísir e suggerisce, insieme ad altri indizi, di interpretare queste figure come gli spiriti dei morti della famiglia che garantiscono la fecondità della stirpe.
Degli elfi è detto che dimorano nei tumuli come i morti, concetto che resta vivo nel folclore. […]
Il nome ‹‹elfi›› (sing. álfr, pl. álfar) è collegato etimologicamente alla radice indoeuropea *ALBH- ‹‹risplendere››, ‹‹essere bianco›› (cfr. latino albus)”.
Da questa descrizione possiamo capire che la parola “elfo” in verità derivi dal latino. Già questo elemento dovrebbe sollevare una domanda: perché una parola di origine latina ha designato una
creatura di origine celtica e germanica, se poi non è mai comparsa nel linguaggio italiano fino al 1829, secondo il dizionario Zingarelli?
L’ipotesi più probabile è che siccome la scrittura, e
conseguentemente il latino, si è diffusa grazie alla predicazione del cristianesimo, allora anche la
designazione della creatura elfo è stata possibile solo grazie al latino. Non dimentichiamoci che le
tradizioni germaniche erano pressoché orali.
Analizzando più nel dettaglio la tradizione scandinava, possiamo affermare che la letteratura
scandinava è di qualche secolo più recente rispetto a quella anglosassone, ma che presenta alcuni punti in comune, tra cui il fatto che gli elfi non sono dei. Il vero problema è che secondo Snorri, l’autore della raccolta di testi nota come Edda, esistono diversi tipi di elfi, come riporta anche Chiesa Isnardi:
“Nella sua descrizione degli elfi, Snorri distingue tra ‹‹elfi chiari›› (ljósálfar) ed ‹‹elfi scuri›› (døkkálfar) o ‹‹elfi neri››
(svartálfar).
Dei primi si dice che d’aspetto sono più belli del sole: abitano in Álfheimr – Paese degli elfi, luogo che
altrove è detto appartenere al dio Freyr (divinità della fecondità), il quale lo ebbe come regalo per il primo dente
(tannfé n.). Un’altra dimora bella e luminosa più del sole abitata dagli elfi chiari è Gimlé.
Gli elfi scuri, che sono “più
scuri della pece”, abitano invece sottoterra […].”
Ciò che risulta evidente dei lettori è che gli elfi sono collocati in vari luoghi, tra cui uno non menzionato da Chiesa Isnardi: lo svartálfarheimr, il Paese degli elfi neri.
Inoltre, gli elfi sono spiriti legati al raccolto agricolo, e quindi alla fertilità. Cosa più importante, sono legati al
sottosuolo, in quanto custodi e protettori della loro stirpe famigliare.
Ora però non notate delle incongruenze? Secondo quanto scrive Snorri, si crede che gli elfi abitino sottoterra e anche in luogo diverso come lo Álfheimr, e quindi come venire a capo di queste incongruenze?
Vedrete che a tutto c’è una possibile soluzione, non u
na risposta certa. Ricordiamoci che stiamo trattando di mitologia.
La Tradizione Tedesca
Venendo dunque alla tradizione tedesca, i fratelli Grimm possono venirci in aiuto, analizzando la voce di “elfo” del loro dizionario della lingua tedesca. Per correttezza riporto la voce nella lingua originale, non integralmente:
“Alp, m. daemon, incubus, die streng ahd. wortform hat sich nur für den feindlichen nachgeist, nicht für lieblichen lichtgeist erhalten, welcher davon unterschieden und mit dem namen elb oder niederdeutsch elf belegt wird […] der pl. lautet alpe […]. Gewöhnlich wird von ihm erzählt, dasz er bei nächtlicher weile in den wohnungen der menschen erscheine, die schlafenden, träumenden reite und drücke, zumal ihre haare verwirre; aber auch tiere, namentlich pferde werden von ihm geritten […]. er trägt den leuten geld zu”.
Alp è la versione tedesca del nome “elfo”, ma esiste anche la versione Alb, a seconda della regione tedesca in cui ci si trova, anche a causa della seconda rotazione consonantica, tipicamente tedesca (un fenomeno filologico e linguistico molto complicato, che se vi può interessare potete chiedermi).
In questo lemma (o voce del dizionario), si evince che questa forma in particolare contraddistingue uno spirito notturno, a differenza dello spirito elb, che invece designa un essere fatto di luce. Ciò che ci interessa sapere è che secondo i Grimm esiste una credenza popolare, che ritiene gli elfi responsabili di un macabro e doloroso rituale per noi uomini: gli elfi sono soliti intrufolarsi nelle stanze delle loro vittime e salire sui loro petti ed infine cavalcarli come cavalli. La cosa sorprendente è che in realtà fanno anche qualcosa di buono per noi: lanciano dei soldi.
Come dire: potrebbero essere sia benevoli che malvagi con noi. Ed è qui che si scorge un punto fondamentale del nostro viaggio: la loro vera natura. Scopriremo che non sono per niente o solo malvagi o solo benevoli. Esattamente come nella tradizione scandinava, il fatto che fossero legati al culto della morte in realtà li rendeva malvagi o quantomeno pericolosi, ma allo stesso tempo sono i principali responsabili della vita famigliare, della loro fertilità, del loro nutrimento.
Come è possibile questo?
Ora mi fermo a questa prima tappa del viaggio. Prendiamo un attimo fiato.
Gli Elfi in Shakespeare
Arriviamo alla seconda tappa del nostro percorso letterario tra Tolkien e le altre letterature europee. La nostra prima tappa si è conclusa con un rapido scorcio della tradizione scandinava e tedesca, citando anche i famosi fratelli Grimm. Oggi si fa un salto di qualche secolo per arrivare a Shakespeare e al rapporto tra Tolkien e uno dei più famosi drammaturghi di tutti i tempi.
Si potrebbe tranquillamente affermare che Tolkien non era entusiasta dell’opera di Shakespeare, soprattutto in merito alla questione degli elfi, poiché come scritto in una sua lettera nel Settembre 1954:
“Ma il disastroso svilimento di questa parola, in cui Shakespeare ha giocato un ruolo imperdonabile, l’ha caricata di significati deplorevoli, che tuttavia sono troppo radicati per essere superati”.
La domanda è: come è possibile che Shakespeare sia il responsabile di questo assoluto “svilimento” della figura dell’elfo? La risposta al quesito potrebbe essere trovata, analizzando alcune delle opere teatrali di Shakespeare stesso, tra cui Sogno d’una Notte di Mezza Estate. Scritta nel 1595, l’opera narra di due coppie di amanti, che si devono sposare, ma le cui vicende amorose si intersecano e si intrecciano a causa dell’intervento, talvolta maldestro, delle creature del bosco: le “fairies” e gli “elves”. Opera meravigliosa che combina magia, natura, desiderio e emozioni contrastanti fra tutti i personaggi messi sulla scena.
Ciò che preme sapere e analizzare però, è la distinzione tra le due creature sopra citate. Naturalmente noi traduciamo elves con elfi, e dovremmo tradurre invece fairies con fate. Eppure l’interrogativo posto poc’anzi rimane: da cosa si distinguono le due creature? Purtroppo il testo stesso non viene in soccorso al lettore, perché l’autore stesso sembra usare i termini in maniera quasi interscambiabile.
Questo è un esempio a dir poco lampante di quanto affermato, tratto dal Atto II – Scena I, dell’opera:
“Enter a Fairy at one door, and Puck at another.
PUCK FAIRY |
“Entrano una Fata, da una parte, e il Demone dall’altra.
DEMONE FATA |
La Fata, come dice essa stessa, è al servizio della Fata Regina, vale a dire Titania, ma al momento del congedo con Puck, servo di Oberon, il Re degli Elfi, lei vede arrivare Titania con degli elfi al suo seguito.
Come se non bastasse, in un altro passaggio dal Atto II; Scena II, la confusione si acuisce:
“TITANIA Come, now a roundel and a fairy song; Then for the third part of a minute, hence: Some to kill cankers in the musk-rose buds; Some war with reremice for their leathern wings, To make my small elves coats; and some keep back The clamorous owl, that nightly hoots and wonders At our quaint spirits. Sing me now asleep; Then to your offices, and let me rest”. |
“TITANIA Suvvia, danziamo in cerchio, e cantiamo una nostra canzone. Poi, per la terza parte d’un minuto, via di qua – alcune a uccidere i bruchi nei boccioli della rosa muschiata; alter a far guerra ai pipistrelle per far con le pelle sottile delle ali corsetti ai miei piccoli elfi; ed altre ancora a tener lontano il gufo strepitoso che ulula ogni notte e guarda sbalordito i miei elfi leggiadri. Ora cantatemi la nanna, poi alle vostre faccende, e lasciatemi dormire.” |
La domanda è quindi: gli elfi e le fate sono la stessa creatura? Secondo il Professor Pagnini, infatti:
“[…] le Fate sono indicate come minuscole creature (dovrebbero essere addirittura invisibili) che possono nascondersi nel cappuccino delle ghiande, corrono il rischio di annegare nel miele del sacchetto d’un’ape, si fanno vento con le ali delle farfalle”.
“Nel medioevo si credeva alla esistenza degli spiriti – buoni o malvagi, abitanti dell’aria o della terra – e si pensava che essi influissero sulle faccende umane. Le Fate erano considerate spiriti malefici, infernali, capaci di procurare malattie, di scambiare nella cuna bambini ben nati con esseri mostruosi, di lasciare marchi sulla pelle, di trasformare le donne in streghe, d’influire sulle stagioni ecc. Si pensava però di poter avere da loro – profonde conoscitrici di tutti i segreti del mondo vegetale – erbe portentose, da usare come farmaci e filtri d’amore. Non si dubitava di poter riconoscere tracce delle loro tregende notturne, o delle loro danze, sull’erba dei prati, al mattino, quando, con l’avvento della luce, gli spiriti maligni erano costretti a scomparire”.
Ergo, le fate e gli elfi non sono le stesse creature, perché come detto nel precedente articolo, gli elfi non sono esattamente divinità, bensì esseri sovrannaturali, ma con poteri legati alla protezione del nucleo famigliare, ma anche al culto dei morti, e come si vedrà in seguito, possono essere malvagi o benigni. Nel caso di Sogno d’una Notte di Mezza Estate, queste creature sono ridicole e quasi “scherzose”.
Ora, secondo Shakespeare, e secondo la tradizione che rappresentava all’epoca, ora avrebbero questa caratteristica, oltre al fatto che potrebbero essere uguali alle fate. Perché questo? Come il Professor Pagnini sostiene, il motivo è:
“Al momento in cui la tradizione medievale raggiunge gli Elisabettiani già serpeggiava, però, un certo scetticismo (non a caso Francis Bacon stava gettando i fondamenti della nuova scienza) e questo consentiva di osservare gli aspetti, una volta terribili e temibili, del folclore con un qualche distacco, e persino di trattarli in maniera confidenziale, ironica e scherzosa. I nuovi tempi, d’altronde, rivelano anche un generale interesse alla mitologia classica (molte traduzioni di opere greche e latine comparvero alla stampa intorno al 1533), il che permetteva non solo di attuare un certo sincretismo anacronistico – come avviene con lo stesso Shakespeare che mischiava i miti classici con le credenze medievali – ma anche il trattamento scettico di certe antiche convinzioni, liberate dal satanismo o dall’accusa di eresia, e portate a livello di fiaba”.
Di conseguenza, si spiegherebbe il motivo per cui Tolkien ritiene Shakespeare responsabile dello svilimento dell’elfo: non sono la stessa creatura, ma per via di questo fenomeno lo è diventata.
Anche nell’arte ottocentesca del Romanticismo possiamo riconoscere questo fenomeno di ironia e di “ridicolo”.
Basti osservare per esempio il dipinto di Johann Heinrich Füssli che ritrae uno dei momenti dell’opera che abbiamo trattato, Titania e Bottom con la testa d’asino. Se osservate in basso, vedrete una creatura alata, che rappresenta la fata, o erroneamente elfo, che è assolutamente ridicola e orrenda.
Siamo arrivati alla nostra seconda tappa. La prossima volta proseguiremo il viaggio, e se qualcuno si è perso, sarò felicissimo di avere domande e di dare risposte in merito.
Alla prossima tappa.
Matteo Marco Coero Borga
Fonti:
Chiesa Isnardi, G., I Miti Nordici, Varese: Longanesi & C., 2011
Grimm, J. and W., Deutsches Wörterbuch von Jacob und Wilhelm Grimm, Leipzig: 1854-1961
Tolkien, J.R.R., La Realtà in Trasparenza – Lettere. Milano: Bompiani (RCS Libri S.p.A.), 2009
Shakespeare, W., Sogno d’una Notte di Mezza Estate. Milano: Garzanti Libri s.r.l., 2014 (12esima ed.)
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