Le figure femminili di Tolkien non sono forse molte, almeno nel Signore degli Anelli, ma la loro importanza ed il loro valore risaltano e sono innegabili. Nel Silmarillion sono molto più numerose ed anche in questo caso il loro ruolo non si limita a quello di comparse, ma spesso risultano superiori alla loro controparte maschile per status e per poteri: Melian, in quanto Maia, rispetto all’Elfo Thingol; così Luthien, Idril ed Arwen, in quanto appartenenti alla stirpe degli Elfi rispetto ai loro sposi mortali.
Un elemento che spesso caratterizza le figure femminili è che hanno a che fare con l’elemento della luce e ne sono portatrici.
Tra i Valar, le Potenze angeliche, Varda, la sposa di Manwè, il signore dei venti e dei cieli, è Signora della volta stellata e conosce tutte le regioni dell’universo; è anche la più amata dagli Elfi che la invocano dall’esilio della Terra di Mezzo col nome di Elbereth, mentre Melkor, il Nemico, la teme. Nella figura di questa regina del cosmo è confluita, per esplicita ammissione di Tolkien, la devozione mariana dell’Autore, ma essa ricorda anche le divinità pagane celesti come Inanna ed Ishtar, per il comune riferimento alle stelle. Tuttavia non ha la natura di Grande Madre tipica di queste figure divine, né è connessa con l’oltretomba e con i cicli stagionali. La sua descrizione ricorda invece quella della Donna dell’Apocalisse: una donna vestita di sole, con ai piedi la luna e sul capo una corona di dodici stelle.
In generale, nella rappresentazione tolkieniana del femminile manca l’ambivalenza della Grande Dea, Signora della trasformazione e del mutamento, ma anche dell’eterno ritorno, secondo la concezione ciclica del tempo: dispensatrice di vita e Grande Madre, ma contemporaneamente signora della morte e della rigenerazione tramite la distruzione. Infatti anche Yavanna, signora della vegetazione e della fertilità della Terra, complementare al suo sposo Aule che incarna la figura del fabbro, signore delle rocce e dei metalli, non ha le caratteristiche della Grande Madre arcaica, ma richiama piuttosto l’immagine tardo antica e medievale di Madonna Natura. Secondo i medioevali essa agisce come vicereggente di Dio e combatte tutto ciò che viola l’ordine naturale, proteggendo ogni creatura. Il soprannome di Yavanna è Kementari che nella lingua elfica significa Regina della Terra ed è chiamata anche Palurien: la Dispensatrice di frutti. In una versione precedente dei Racconti, poi abbandonata da Tolkien, è accompagnata dal corteo degli spiriti della natura: “brownies, fays, pixies, leprawns”[1] più antichi della nascita del mondo stesso.
Come la coppia Manwe e Varda è connessa ai poteri celesti e spirituali, così Yavanna ed Aule corrispondono al potere terrestre della materia in tutte le sue manifestazioni.
Nei racconti della Prima Era si narra di come la Valar fece crescere i due alberi d’oro e d’argento di Valinor, intonando un canto di potere in cui era contenuta ogni sua idea di ciò che cresce sulla Terra. Nacquero così Laurelin, dalla luce dorata che risplende di giorno e Telperion la cui luce argentea illumina la notte. Ella si recava spesso anche nella Terra di Mezzo dalla sua dimora beata in Valinor per curare le ferite che Melkor, vi aveva inflitto, perché a lei sono care tutte le cose che crescono e che vivono sulla Terra.
Un’altra Valier di fondamentale importanza è Nienna: nella versione più tarda pubblicata ne Il Simarillion è sorella dei Feanturi Namo e Irmo, detti Mandos e Lorìen dai nomi delle loro dimore, ed è una degli Aratar, i sette Valar più importanti. Il suo nome significa “Colei che piange”: infatti porta su di sé il dolore di Arda. Durante la musica degli Ainur la sua pena fu così grande che il suo canto si trasformò in lamento e il suono del compianto e del lutto fu integrato nei temi del Mondo prima che questo avesse inizio. Nienna però non piange per sé ma per la sofferenza di tutti gli esseri viventi e del cosmo stesso e a chi l’ascolta insegna la pietà e a perseverare nella speranza.
La sua pietà è così grande che impetrò in favore di Melkor quando questi implorò il perdono dei Valar dopo la sua prima prigionia, fingendosi pentito. Apparentemente non ha nulla a che fare con la luce,ed, in effetti, in una prima versione Nienna era soprannominata Regina dell’Ombra, compariva come sorella di Manwe e di Melkor e la sua figura era assai più oscura e connessa al lutto e alla morte; successivamente però Tolkien decise di trasformarne la natura e di renderla fonte di pietà cosicché anche il dolore e la pena non restassero privi di speranza.
Quando la luce degli Alberi si estinse per la distruzione causata da Melkor ed il veleno di Ungoliant, Nienna lavò con il suo pianto ogni sozzura e con voce triste cantò il dolore per la loro perdita. Lei e Yavanna unirono i loro poteri di crescita e di guarigione per risanarli, ma tutto pareva inutile; tuttavia, quando la speranza stava per svanire, Telperion e Laurelin produssero un ultimo ed unico frutto ciascuno, da cui i Valar fabbricarono la Luna ed il Sole.
Tra gli Elfi, la creatura più bella è Luthien: creatura del crepuscolo, anch’essa è portatrice di luce, ; infatti aiuta Beren a prendere il Silmarill, il gioiello che racchiude la luce degli alberi di Valinor e
che nessun altro riuscirà a conquistare, nemmeno con le lotte più terribili. Da sola riesce a sconfiggere la tenebra delle prigioni di Sauron e ad infrangerne il potere, la sua bellezza luminosa e la potenza del suo canto risplendono persino nel cuore dell’oscurità di Morgoth. Proprio in quanto agisce non per desiderio di possesso, ma per amore, la pietra la riconosce e l’accetta, così Luthien la porterà sempre indosso divenendo ella stessa una fonte vivente di luce. Allo stesso modo sarà Elwing a portare ad Earendil la luce del Silmarill, permettendogli così di giungere a Valinor.
Ne Il Signore degli Anelli, Dama Galadriel è strettamente connessa con la luce: al suo dito splende l’anello di diamante, la cui luce bianca riflette le stelle e l’acqua della sua fontana è impregnata dello splendore di Earendil, la stella più amata dagli elfi; a Frodo dona una fiala contenente la sua luce che lo soccorrerà brillando là dove tutte le altre luci si spegnessero.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un topos della letteratura medievale: così come Beatrice illumina il cammino di Dante e lo soccorre nella Selva oscura,, prima inviandogli Virgilio, poi facendogli ella stessa da guida alle glorie del Paradiso, così la Dama illumina la vita del suo fedele Cavaliere come una stella sul suo cammino, specie nei momenti di smarrimento e di difficoltà.
Anche Eowin, sconfiggendo il Re dei Nazgul, riporta la luce e la speranza sul campo di battaglia.
E il femminile demoniaco?
Persino le uniche figure demoniache di natura femminile, i grandi Ragni Ungoliant, nel Silmarillion, e Shelob, nel Signore degli Anelli, appaiono connesse al tema della luce, seppur in negativo. Di Ungoliant si dice che agognava e odiava la luce allo stesso tempo, di essa si nutriva trasformandola in tenebra e fu lei a distruggere gli Alberi e a portare l’oscurità in Valinor, secondo i disegni di Melkor. Shelob nella sua tana di tenebra non può sopportare la luce della fiala di Galadriel, che davvero risplende là ove ogni luce è venuta meno, dando a Frodo e a Sam la forza di combattere.
In conclusione:
I personaggi femminili agiscono su un piano diverso rispetto ai loro compagni: una dimensione più spiccatamente spirituale, di guida e di consiglio, di preveggenza e lungimiranza; mentre la componente maschile interviene sul piano materiale, fisico e guerriero. Ciò non toglie che le figure femminili sappiano dimostrare un coraggio per nulla inferiore a quello maschile, come dimostra la dama di Rohan
[1] J.R.R. Tolkien, Racconti ritrovati
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