Un eroe letterario diventa tale quando riscontriamo, nel personaggio, quello che McKee definisce, il “fulcro del bene”.

Siamo esseri sociali e in quanto tali, in quanto creature che vivono e partecipano in società, ricerchiamo naturalmente i valori positivi come: giustizia, forza, sopravvivenza, amore, verità, coraggio. Tutti collanti sociali.

Di conseguenza quando questi valori vengono portati avanti da un personaggio, allora quel personaggio cattura la nostra attenzione. Empatizziamo con lui e infine arriviamo a considerarlo un eroe.

Adar è l’esempio emblematico di un personaggio che incarna il cosiddetto “fulcro del bene” incardinato all’interno di una figura apparentemente malvagia.

Sebbene sia associato a un passato oscuro, il suo obiettivo di liberare gli orchi da Sauron e trovare loro una terra sicura riflette l’ambiguità morale che ritroviamo per esempio in personaggi cinematografici come Corleone ne “Il Padrino”.

La formula che rende un personaggio malvagio positivo è semplice: basta inserire nel suo arco diegetico, cioè nel suo dramma, un’istanza positiva

Corleone, pur immerso nel crimine, mostra qualità positive come la lealtà e la volontà di proteggere la sua famiglia; analogamente Adar si erge a difensore degli orchi, creature viste solitamente come malvagie, ma che nella sua visione meritano una possibilità di riscatto.

Nella famiglia Corleone la lealtà è il manifesto che rende il personaggio positivo.

Il manifesto di Adar è l’amore per i propri figli.

E di questo manifesto l’articolo 1 è quello di realizzare il bisogno di indipendenza degli orchi. In questo modo Adar realizza un tema tolkieniano.

Nelle Due Torri troviamo il seguente dialogo tra Gorbag e Shagrat.

“Grr! Quei Nazgûl mi fanno venire i brividi. Ti strappano di mano il corpo senza nemmeno guardarti, e ti lasciano fuori nel freddo e nel buio. Ma a Lui piacciono; in questi tempi sono loro i Suoi beniamini, dunque è inutile borbottare. Te lo assicuro, non è uno scherzo servire laggiù nella città”.

“Dovresti provare a star quassù in compagnia di Shelob”, disse Shagrat.

“Vorrei provare un posto dove non ci siano né l’una né gli altri. Ma ora la guerra è incombente, e dopo le cose saranno probabilmente più facili”.

“Pare che stia andando bene, a sentir quello che dicono loro”.

“E che cos’altro potrebbero dire?”, grugnì Gorbag. “Lo vedremo. Ma comunque, se effettivamente finirà bene, ci sarà molto più spazio. Che ne te pare? Se dovessimo avere l’occasione, tu e io, di svignarcela e metterci su per conto nostro con pochi ragazzi fidati, in un posto dove c’è del buon bottino e niente capi né superiori?”

“Ah!”, esclamò Shagrat. “Come ai vecchi tempi”.

In questo dialogo i personaggi orchi emergono come più che semplici creature al servizio del male. Si intravede una loro complessità morale, una loro umanizzazione e un’aspirazione all’indipendenza, elementi che li rendono capaci di tradire il loro capo, Sauron.

Questa indipendenza è stata più volte evidenziata da Pierluigi Cuccitto in passa come i seguenti:

“Durante l’occultamento di Sauron, gli Orchi, riprendendosi dalla loro impotenza, avevano creato dei piccoli regni tutti loro e si erano abituati all’indipendenza”.

J.R.R Tolkien, Morgoth’s Ring

“Ma più a est c’erano specie sempre più forti, discendenti delle schiere di Morgoth, ma a lungo senza padrone durante la sua occupazione di Thangorodrim;  erano ancora selvaggi e ingovernabili, predandosi gli uni verso gli altri e verso gli Uomini (buoni e malvagi che fossero).

Gli Orchi Orientali, che non avevano sperimentato il potere e il terrore degli Eldar, o il valore degli Edain, non erano sottomessi a Sauron; e quando egli fu obbligato, per convincere gli Elfi e gli Uomini dell’Ovest, ad assumere forma ed aspetto simile alla loro, lo disprezzavano e ridevano di lui”.

J.R.R Tolkien,  The Nature of Middle Earth

Tornando in via, nel dialogo tra Gorbag e Shagrat in “Le Due Torri”, emerge chiaramente il desiderio degli orchi di vivere liberi dai loro capi tirannici, un desiderio che risuona perfettamente con l’obiettivo di Adar di trovare loro una patria, dei regni.

Questo parallelo si riflette nella “logica mafiosa” esposta ne “Il Padrino”

Di conseguenza in una narrazione anche le persone malvagie diventano eroiche perché noi “vogliono il positivo, non il bene” in una storia. Avvertiamo e facciamo nostri desideri semplici come la libertà e la sicurezza, sebbene si ricorra a mezzi moralmente discutibili per ottenerli. Anche gli orchi, come i gangster combattono per il loro posto nel mondo, sebbene con metodi brutali.

Adar contro Sauron: Un conflitto tra tiranni

Sauron, come descritto nei brani di “Morgoth’s Ring” e “The Nature of Middle Earth”, non ha il totale controllo sugli orchi, e questi ultimi si sono abituati all’indipendenza durante la sua assenza. In questo contesto, Adar rappresenta una minaccia diretta per Sauron, non tanto per la sua forza militare, quanto per la sua visione politica: distruggere il tiranno e creare una nazione indipendente per gli orchi. Questa figura corrisponde perfettamente al “fulcro del bene”, dove il “bene” non si riferisce necessariamente alla moralità convenzionale, ma al desiderio di costruire qualcosa di positivo per il proprio popolo.

La figura del “Cattivo buono

In altre parole Adar incarna il concetto di “cattivo buono” più chiaramente quando consideriamo la sua empatia per gli orchi, nonostante questi siano visti come esseri intrinsecamente malvagi.

Come il protagonista de “Il silenzio degli innocenti”, il cui fascino risiede nell’intelligenza e nell’ironia, Adar attrae il pubblico nonostante la sua natura oscura. Egli è astuto, forte, risoluto e non combatte per il “bene” nel senso tradizionale, ma per un mondo in cui gli orchi possano finalmente trovare pace. Questa ambiguità morale è esattamente ciò che rende Adar un personaggio affascinante, spingendo lo spettatore a chiedersi: “Come può un elfo corrotto diventare il difensore di una razza malvagia?”

Un “eroe” tra le ombre

Adar non solo è consapevole della minaccia di Sauron, ma combatte attivamente per evitarne il ritorno, un atto che, seppur moralmente ambiguo, riflette il suo desiderio di proteggere gli orchi da una tirannia ancora più grande. La sua figura ricorda quella di Cody Jarrett ne “La furia umana”, un criminale che, nonostante la sua spietatezza, viene dipinto con una certa empatia dagli sceneggiatori, facendoci intravedere un barlume di umanità dietro la maschera del mostro.

Nella scena in cui Adar affronta Galadriel, emergono inoltre temi profondamente intrecciati con la trasformazione e il sacrificio personale, che sono ulteriori temi eroici.

Adar, come padre degli orchi e nemico di Sauron, non cerca soltanto di combattere il male esterno, ma è anche coinvolto in una battaglia interiore che riguarda la sua identità di elfo corrotto.

Quando riesce a ottenere l’anello Nenya da Galadriel, lo usa per guarire la sua deformità fisica, temporaneamente tornando ad essere l’elfo che era in origine. Questo gesto simboleggia un ritorno alle radici, un confronto con la propria natura perduta, che trova eco nelle seguenti parole di Dara Marks: “Il secondo turning point (in un film) diventa la via che porta a un pericoloso viaggio verso gli Inferi, dove il protagonista deve lottare, come mai ha fatto prima, per reclamare la propria vita.”

Per Adar, questo è un momento di rinascita simbolica e temporanea, dove rivendica una parte di sé che aveva perso nella corruzione.

Ma Adar non è destinato a rimanere in quella forma. Si toglie l’anello, accettando la sua deformità e rinunciando al potere di Nenya, proprio come un eroe tragico che, dopo aver intravisto una possibilità di salvezza, sceglie di tornare indietro, consapevole delle conseguenze del proprio passato.

È in Adar “il luogo in cui esiliamo il nostro dolore”, ovvero quel confine tra ciò che siamo stati e ciò che dobbiamo accettare di essere.

L’atto di cedere l’anello a Galadriel e di perdonarla per la guerra contro gli orchi mostra anche la dimensione del sacrificio e del perdono, elementi che vengono associati all’esperienza della morte come “un sacrificio di sangue”.

Adar, nonostante tutto, dimostra compassione per i suoi figli orchi ed è per questo che tenta di creare un’alleanza con Galadriel. Questo parallelismo con l’eroe che scende agli inferi e compie il sacrificio necessario per la propria trasformazione è chiaro: “Il confine estremo di ciò che conosciamo è sempre un luogo di sofferenza”.

Tuttavia, la scena culmina nel tradimento degli orchi che, al servizio di Sauron, uccidono Adar. Questo tradimento finale, che Adar vive con le parole “figli miei”, è il culmine del suo arco tragico.

Il tradimento da parte dei suoi stessi “figli” richiama il tema del “Cesarecidio”, un colpo di stato interno, in cui Adar subisce il destino di essere abbandonato da coloro che ha creato, proprio come Cesare fu tradito da Bruto. In questo senso, il suo sacrificio diventa completo, e il suo viaggio porta a una fine tragica ma inevitabile.

Questa scena è un capolavoro di scrittura, perché con un gioco di ricorrenze circolari, la fine di Adar diventa l’inizio della storia di Sauron.

Così come Adar cercò di distruggere Sauron, ad inizio stagione, con un “assassinio di corte”  allo stesso modo e con le stesse modalità, Sauron compie lo stesso atto ma a fine stagione.

Non solo, ma Glüg, orco, braccio destro di Adar, che tradisce quest’ultimo perché non si fida più di lui, in un contrappasso dantesco, da Sauron viene ucciso. Poesia della simmetria.

L’intera scena diventa così una riflessione sulla natura del potere, del sacrificio e della trasformazione. L’arco di Adar, attraverso l’uso simbolico dell’anello e il suo scontro con Galadriel, incarna la complessità dell’eroe che deve confrontarsi con le proprie ombre e, come Ulisse nell'”Odissea”, scendere negli Inferi per cercare di reclamare la propria identità.

In conclusione, Adar è un personaggio complesso che incarna perfettamente l’archetipo del “cattivo buono”. La sua lotta per gli orchi, la sua opposizione a Sauron e il suo desiderio di creare una patria per le creature malvagie riflettono un universo morale in cui il “bene” non è sempre bianco o nero, ma si nasconde spesso nelle sfumature di grigio.