Un episodio mozzafiato, avvincente, drammatico, oscuro e colmo della devastazione degli Anni Neri descritti da Tolkien, in cui l’assedio dell’Eregion viene mostrato con grande realismo, evitando una battaglia campale, perchè un assedio è ben diverso, molto più disperato, sporco e pieno di ferite e sbalzi, in cui è la terra stessa a soffrire.
L’Ombra che copre la Luce, e la disperazione avvolge tutto; eppure la speranza divampa, perchè nella Seconda Era la speranza sta nella consapevolezza che la vera creazione richiede sacrificio.
Un episodio in cui tutti i personaggi sono posti di fronte al dramma di scegliere in pochi secondi, e ogni scena è costruita con passione e rigore.
Durin ed Elrond, innanzitutto: posti di fronte al dramma che avvolge i loro popoli- l’assedio di Eregion e la follia di Durin III che vuole scavare rischiando di destare il Balrog- rinnovano la loro amicizia, con Durin IV che giura all’amico di soccorrerlo in battaglia: ci si incammina sulla via tracciata da Tolkien nei Racconti Incompiuti, con “una schiera di Nani inviata da Durin” nel pieno del dramma dell’Eregion, e infatti la puntata finirà con Elrond e Gil-Galad disperati, perchè i Nani non sono ancora giunti, mentre la sconfitta è vicina: la follia di Durin III travolge il regno Nanico, perchè il Re vuole scavare, e uccide le guardie che lo sorvegliavano, mentre il figlio si apprestava a detronizzarlo, dopo aver ricevuto l’aiuto di Narvi, che apre gli occhi e passa dalla parte dell’erede: così Narvi ritrova un ruolo da protagonista, dopo una stagione da comprimario.
Elrond è davvero splendido in questa puntata: affronta come un leone in battaglia gli Orchi, disperato e feroce come suo nonno Tuor a Gondolin, ma Durin non è da meno: lucido e commovente quando esorta i Nani a Khazad-dum ad accorrere in aiuto degli Elfi: accusa Sauron di essere “un cuore di pietra” e persino di essere un ladro, perchè ha rubato “i sette segreti di forgiatura” dei Nani: essendo essi i figli di Aule, per Durin sono loro ad aver ricevuto i doni più grandi da lui, mentre Sauron, che ha tradito Aule e i Valar, è solo un ladro. Un momento di orgoglio Nanico davvero convincente, e un totale rifiuto di Sauron da parte dei Nani: la loro lealtà verso gli amici “supera qualsiasi stregoneria”. Ed effettivamente è così anche in Tolkien, il quale sottolinea l’avidità dei Nani, certo, ma anche la loro lealtà verso gli amici. Durin, però, almeno per ora, non può accorrere in aiuto di Elrond, perchè si rende conto che l’orrore sta arrivando anche dentro casa sua, e allora ” il cancello di Khazad-dum è stato chiuso”, citazione diretta dal Signore degli Anelli.
Anche Galadriel si ritrova ad affrontare un momento disperato, prigioniera di Adar; ed è in questo momento che ritrova il legame con Elrond, il quale, dopo una maestosa cavalcata alla testa degli Elfi, si ferma non appena vede Galadriel prigioniera di Adar che l’ha messa lì apposta: forse qualcuno si aspettava una carica mortale e una battaglia stile Campi del Pelennor nel Ritorno del Re, ma questa battaglia è molto diversa ed è stato un bene conservarla così.
Elrond le passa di nascosto una spilla con la quale la Dama si libererà, dopo un finto bacio sulle labbra da parte di Elrond, esclusivamente “tattico”, in modo tale da non farsi scoprire da Adar: un accorgimento molto cinematografico, sui cui si può tranquillamente passar oltre. Molto affascinante, invece, il percorso notturno di Galadriel all’interno del campo Orchesco, vestita da Orco, come Sam e Frodo a Mordor 3000 anni dopo; e commovente l’incontro con Arondir , al quale prega di non pensare alla sua vendetta su Adar, perchè c’è carenza di eroi Elfici, e il mattino avrà bisogno di lui. Una Galadriel che convive con il senso di colpa, ma che come sempre è pronta ad affrontare ciò che verrà con coraggio, lanciando lampi di delicatezza verso coloro che ama e rispetta.
Anche gli Orchi, però, lasciano il segno in quel momento della puntata, perchè li vediamo impauriti: ora che hanno guadagnato la libertà grazie ad Adar, hanno paura di morire, perchè per la prima volta nella loro misera esistenza non sono schiavi, e risuona il grido di dolore di Glug, che sente che Adar li sta tradendo, sacrificandoli per i suoi scopi. Per evitare che diventino schiavi di Sauron, dice, ma Glug è perentorio: “avevi detto che ci amavi”.
Un momento davvero molto commovente, che non è certo un “tradire” Tolkien, ma un proseguire sulla strada che aveva intrapreso a fatica negli ultimi anni di vita, quando si interrogava di continuo sugli Orchi, senza arrivare ad una conclusione definitiva. La serie mostra coraggio, perchè approfondisce le motivazioni Orchesche ma non li muta di certo: sono sempre Orchi, ma anche personaggi con un’identità. Non automi o pupazzi.
Il cuore tematico della puntata, però, è l’interno della fucina di Celebrimbor: l’Elfo fabbrica infine i Nove, ma grazie a un grande spirito di osservazione, si accorge che il tempo sembra essersi fermato. Capisce che Annatar non è chi dice di essere. In quel momento comincia il loro confronto finale, tesissimo e drammatico.
Come sempre in questa stagione, eccellenti sia Sauron che Celebrimbor: il primo, per autogiustificarsi con Celebrimbor, il quale, come nei libri, ha finalmente compreso l’inganno, mette su un discorso che di fatto cita parti del decimo volume della History of Middle Earth, Morgoth’s Ring. Sauron dice che “il suo fine era diverso dal mio. Ciò che lui voleva distruggere, io volevo perfezionare. A volte il dolore diventava una ricompensa e un gioco, una gara a chi aveva la volontà più ferrea”. Un discorso ipocrita, ma terribilmente coerente col personaggio, che però prende vita da un saggio su Sauron e Morgoth presente in Morgoth’s Ring. Lì Tolkien infatti dice che “Morgoth non aveva un piano, a meno che la distruzione o la riduzione nel nulla (..) non possa essere chiamato un piano”. Era un nichilista, mentre Sauron non raggiunse mai quello stadio: “Conservava relitti di propositi positivi, che discendevano dalla natura del bene nel quale aveva avuto inizio (..) egli amava l’ordine e il coordinamento, e disprezzava del tutto la confusione“. Centrale era per lui “organizzare e pianificare tutto per il bene degli abitanti di Arda”, ma quel “bene”, alla fine, era il bene di se stesso. E quindi ricadde presto nel male. La serie, qui, riporta concetti davvero importanti di Tolkien in maniera intelligente e fedele, e ci permette di capire come Sauron sia un malvagio tridimensionale.
Egli è falso e diabolico, un ingannatore che inganna pure se stesso, come gli dice superbamente Celebrimbor, un Charles Edwards in stato di grazia, che mostra tutto il dramma di questo tragico personaggio: davvero tragica è la scena in cui si taglia il dito- scena che ricorda quella di suo zio Maedhros nel Silmarillion, che si taglia un braccio per sfuggire a Morgoth, ma ovviamente anche il dito di Sauron che poi verrà tagliato da Isildur, o quello di Frodo da Gollum– per fuggire con i Nove Anelli dalla prigione di Sauron; e sublime è il momento in cui ritrova Galadriel, dopo aver capito che Annatar è Sauron- come accade nei Racconti Incompiuti, anche se la scena è ovviamente diversa per la compressione temporale- e dialoga intensamente con lei mostrandole la via per la Luce e riconoscendo gli errori degli Elfi nella Seconda Era: lenisce il senso di colpa di Galadriel, che si rimprovera di aver portato Sauron lì. Celebrimbor le fa capire che l’Ingannatore è troppo forte se affrontato con la forza. “Nessuno è abbastanza forte… magari nella Terra di Mezzo non c’è nessuno che lo sia: ma può darsi che gli elfi debbano solo rammentare che non è la forza che prevale sull’Oscurità, ma la Luce. Le armate possono sorgere, i cuori possono cedere, tuttavia la Luce resiste ed è più maestosa della forza… e alla sua presenza ogni Oscurità deve svanire”.
Un discorso davvero bellissimo, che si nutre a fondo del pensiero di Tolkien, aprendo squarci di speranza sul futuro della Terza Era, mentre Galadriel riceve i Nove da Celebrimbor- nei libri riceve i Tre, ma egli affida Anelli sempre a lei, la persona di cui si fida di più avendola amata, come racconta Tolkien– e cercherà di portarli lontani da Sauron, mentre Adar sta per sconfiggere Elrond: nonostante la presenza di Gil-Galad, la lotta è disperata, e le perdite sono state tantissime: dopo una tremenda giornata, con gesta eroiche e disperate- tecnicamente magnifica la lotta contro il Troll Damrod, a cui Gil-Galad dice “tornatene sulle colline e seppellisciti”, ricordando la sua appartenenza ai Troll delle Colline- tante sono le morti, tra cui Mirdania e soprattutto Arondir, che sembra essere brutalmente ucciso da Adar, il quale, nella scena finale strappa l’Anello di Galadriel che il Mezzelfo custodiva.
Non sembra davvero esserci più speranza, e attendiamo con grande trepidazione l’ultimo episodio di una stagione davvero molto bella e commovente.
Insomma, una puntata di grande azione ma anche di ottimi dialoghi molto fedeli all’autore, con due ultimi momenti da segnalare, tra Adar e Elrond: il primo cita Melian la Maia, madre di Lùthien e bisnonna di Elrond, che dimostra di conoscere- indizio sulle origini del personaggio?- e infine, la seconda citazione in questa stagione dell’Elfo Rùmil, il primo degli scrittori Elfici, autore “fittizio” della prima parte del Silmarillion, già citato da Cìrdan, e di cui Adar cita una frase originale: “Hai dimenticato il tuo Rùmil? Mai fare guerra con rabbia”.
Una finezza, una delle tante messe in bocca al personaggio di Adar, che arricchiscono il quadro della Seconda Era, che la serie ci sta presentando davvero bene, rendendola viva e pulsante.
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