Un episodio di raccordo, ma non un episodio in tono minore, anzi: una gemma preziosa, che ha un legame strettissimo con i libri di Tolkien, e introduce alla grande alcuni personaggi amati dei libri che non abbiamo mai visto finora su schermo. Episodio davvero emozionante, un vero atto d’amore a Tolkien, perché questa puntata è disseminata di citazioni e riferimenti ai libri che però sono sempre funzionali alla trama.
Tom Bombadil- un prodigioso Rory Kinnear- è perfetto, esattamente come doveva essere: slegato dal mondo eppure in totale sintonia con il piccolo angolo di mondo che sceglie di salvare.
Canta, sempre Tom, esattamente come nel romanzo, e “mai nel giorno tacque”, ma un canto sussurrato, come un incantesimo. Quando lo Straniero lo incontra, nell’orto della casa che Tom si è costruito per aiutare la natura di Rhun- la desertificazione avanza, e nemmeno il cinguettio degli uccelli è più lo stesso, dirà poi- , vediamo lo stregone che è giunto lì dopo aver incontrato la capra e sente Tom cantare, mentre sistema le piante. Già in quel momento tutti i dubbi sul personaggio svaniscono come neve al sole: è il Tom di Tolkien.
Con poche enigmatiche frasi colpisce al cuore, ma il meglio deve ancora venire: quando lo stregone si dirige presso l’albero di ulivo e cerca di prendere un ramo per farci il bastone che sta cercando, l’albero, esattamente come il Vecchio Uomo Salice fa nel Signore degli Anelli con Merry e Pipino, cerca di stritolarlo; ed ecco arrivare Tom, che canta, e convince l’albero a lasciar andare The Stranger. “Scava profondo”, gli dice, con affetto, senza sensazionalismi. Una resa perfetta, e l’emozione di fronte all’adattamento del personaggio aumenta quando i due entrano in casa, perchè, quando lo Straniero chiede a Tom che COSA è, Tom replica con le stesse parole che userà con Frodo, perchè giustamente, mentre il mondo avanza rapido, Tom è sempre lo stesso: “dimmi, chi sei tu, per conto tuo, da solo e senza nome? Ma tu sei giovane e io sono vecchio. Il più vecchio, ecco chi sono (…) Tom era là prima del fiume e degli alberi. Tom ricorda la prima goccia di pioggia e la prima ghianda. Ha conosciuto l’oscurità sotto le stelle quando era inocua”. Così, senza forzature, Tom si presenta allo spettatore, che comprende come egli sia di aiuto nei momenti di difficoltà e smarrimento di se stessi. Lo stregone trova un mentore in lui, che gli insegnerà come controllare il suo potere e come non fare la fine dello Stregone Oscuro- Ciaran Hinds- che è passato anni prima da Tom ma che è stato divorato dal potere. Brevissima apparizione nella puntata, per Ciaran Hinds, che però lascia il segno come suo solito, ma di certo ora le nebbie su di lui cominciano a diradarsi: ritengo che stiamo per conoscere il più grande alleato di Sauron prima di Saruman, il Re degli Stregoni, futuro avversario di Gandalf.
“Grande re e stregone era stato in passato”, dirà di lui Gandalf nel Signore degli Anelli, e qui sembra di intravedere l’inizio della loro lunga conoscenza.
E’ una puntata di raccordo, questa, ma non per questo statica o debole: sempre a Rhun facciamo finalmente la conoscenza degli Sturoi, un altra tribù Hobbit, che darà origine alla famiglia di Smèagol e che qui viene raffigurata giustamente come più stanziale- sarà così anche all’epoca di Gollum- e con una struttura matriarcale, in cui intravediamo una leader energica e severa che ricorda molto la nonna di Gollum: un breve intermezzo ma è davvero emozionante vedere Poppy e Nori che incontrano lo Sturoi Merimac e lo scambiano per un Harfoot, meravigliandosi poi che questi Mezzuomini vivano in buche. Un anticipo della Contea, rafforzato dal meraviglioso racconto che la matriarca fa della leggenda della Terra Promessa che gli Sturoi stanno cercando, mostrando un dipinto rupestre a Nori e Poppy che raffigura questa terra leggendaria che tutti i Mezzuomini cercavano, ma gli Harfoot, dice Nori in maniera commovente, forse si sono arresi.
Molto intrigante il racconto della ricerca della Terra Promessa, e soprattutto l’uso, da parte della matriarca, del termine Suza-t, che si trova solamente in The Peoples of Middle Earth, dodicesimo volume della History, e che è il nome originale della Contea, il quale in origine aveva un significato piú ristretto e non amministrativo ( come invece avrà il termine Suza usato a Gondor) : significava “sfera di occupazione di una terra reclamato da una famiglia e un clan”, e l’interpretazione messianica è affascinante e credibile, perchè Tolkien diceva sempre che dietro ogni parola c’è una leggenda, e dietro ogni leggenda un fondo di verità. Un momento davvero fedele all’autore.
Non meno commovente è la comparsa dell’Ent e dell’Entessa che hanno preso prigioniero Theo e gli Uomini Selvaggi: Arondir li incontra ed è un momento davvero importante, questo, perchè gli Elfi, dice Barbalbero nel Signore degli Anelli, hanno insegnato agli Ent a parlare, e ci sarà sempre un legame speciale tra gli alberi e gli Elfi.
Arondir chiede perdono per aver ucciso un albero, sebbene costretto, e l’Entessa ricorda con dolore che “il nostro perdono è lungo un’Era”: questa parte a qualcuno potrà sembrare meno avvincente di altre, con le avventure di Arondir, Isildur e Estrid tra sabbie mobili e mostri del fango- nati anch’essi da Tolkien, però, perchè, come dice giustamente Arondir, “esseri senza nome” infestano le profondità della terra, riprendendo le parole di Gandalf a Moria-; ma in realtà è una parte assai importante, perchè uno dei temi centrali della Seconda Era è la devastazione della natura, sia da parte di Sauron che dei Numenoreani, e qui la vediamo molto bene.
Inoltre è molto significativa la diversa reazione dell’Ent e dell’Entessa di fronte alla morte degli alberi: l’Ent è malinconico e triste, l’Entessa in collera. Ciò prefigura molto bene l’approccio diverso al mondo e il differente destino di Ent ed Entesse, che presto entreranno nella parte peggiore della loro lunga storia.
Una resa, questa degli Ent, che è molto migliore e ben più aderente ai libri di quella della trilogia Jacksoniana, dove la saggezza dei Pastori degli Alberi e la loro poesia era totalmente assente.
Infine, non meno importante è il racconto della missione di Elrond, Galadriel e gli altri Elfi, che scoprono come il messaggero inviato in Eregion da Gil-Galad non sia mai giunto da Celebrimbor, perchè tutte le cose malvagie si risvegliano, al ritorno di Sauron; ed ecco che facciamo la conoscenza, per la prima volta su schermo degli Spettri dei Tumuli: i Tumuli erano lì fin dalla Prima Era, come leggiamo nell’Appendice A del Signore degli Anelli e come spiega l’Elfo Camnir. Gli Spettri- che non sono quelli della Terza Era, ma altri spetttri evocati da Sauron per l’occasione- fanno una comparsa brillante, perchè il buio improvvisamente acceso da due occhi lampeggianti è veramente d’impatto, e lo scontro è avvincente e molto saggiamente moderato e non prolungato.
Gli Spettri sono un ostacolo di passaggio, che però serve per mostrare due cose: la conoscenza delle antiche tradizioni da parte di Elrond, che capisce come le lame dei Tumuli siano l’unico modo per sconfiggerli- un’interpretazione della serie che però è affascinante, dato che non ne sappiamo nulla dai libri-e soprattutto gli effetti che l’Anello comincia a fare su Galadriel: preveggenza del male, dialogo continuo con il Mondo Invisibile e capacità di “curare, presevare e sanare”: le qualità di tutti e tre gli Anelli Elfici, come spiega Elrond nel Signore degli Anelli, e che qui vediamo all’opera sul corpo dell’Elfo Camnir.
Galadriel è entrata in una diversa sfera dell’esistenza, e Morfydd Clark è davvero eccellente nel mostrare la forza, la consapevolezza e la sofferenza del suo personaggio, che si sta lentamente avvicinando alla Dama della Terza Era.
Il colpo di scena finale- la cattura di Galadriel da parte di Adar- contiene però una gemma preziosa: il saluto in Quenya da parte di Adar, con le celebri parole di Gildor a Frodo, “elen silya lumenn’omentielvo”, “una stella brilla sull’ora del nostro incontro”, ma soprattutto il nome con cui Adar apostrofa Galadriel: giustamente, parlando in Quenya, usa il nome Quenya di lei, Altàriel.
Una gemma finale, per una conclusione che ci lascia col fiato sospeso.
Puntata di raccordo, quindi, ma comunque molto ricca e davvero importante.
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