E così, siamo giunti alla fine della prima stagione de Gli Anelli del Potere, ed è stato un finale palpitante, ricco di emozioni, di scelte forti e coraggiose. Una puntata, a parere di chi scrive, che raggiunge livelli di grande qualità, e che porta in scena alcuni dei temi più importanti delle storie di Tolkien.
Ma partiamo dalle situazioni più “tranquille”, per così dire, riservandoci le grandi emozioni per dopo.
Alcune scene della puntata si svolgono a Nùmenor, e, sebbene minoritarie rispetto al resto, portano in scena un tema centrale in Tolkien: l’ossessione dei Nùmenoreani per la costruzione di tombe e il desiderio smodato di immortalità. Vediamo infatti, su assistenza di Pharazon, alcuni membri della Gilda dei costruttori prendere le fattezze del Re Palantìr, ormai morente. Tra di loro c’è Earien, ma ciò che è importante in questa scena, e nella successiva, quando Palantìr è morto, sono lo sguardo e le parole di Pharazon ( Trystan Gravelle, che riesce a lasciare il segno anche con pochi attimi a disposizione) ,il quale parla del progetto della tomba, con toni magniloquenti, ma colmi di insoddisfazione rimpianto mal celato quando arriva a dire che nemmeno i Re possono avere l’immortalità. E questo atteggiamento è proprio ciò che porterà il personaggio tra le braccia di Sauron. Una piccola scena, questa, ma di grande importanza per gli sviluppi della serie e per ciò che Tolkien ha narrato di Nùmenor.
Intanto, i Nùmenoreani guidati da Mìriel ed Elendil stanno tornando a Nùmenor, e trovano Armenelos e il porto precedente listati a lutto, in una scena che ricorda il ritorno di Teseo ad Atene dopo aver sconfitto il Minotauro: prima di questa scena, però, c’è un bel dialogo tra Mìriel ed Elendil riguardo “la via dei Fedeli”, che comporta, dice Elendil, fare ciò che va a fatto nonostante ciò che possa accadere dopo aver scelto una via precisa. Ciò che conta, dice l’antenato di Aragorn, è continuare a servire, e questo atteggiamento caratterizzerà anche il suo lontano discendente, il quale sarà, come scrive Tolkien nel Silmarillion, “più simile ad Elendl di ogni altro prima di lui”. Questa prima stagione ha già dispiegato bene le caratteristiche di quella dinastia così importante per il futuro.
Il viaggio dei quattro Harfoots per soccorrere The Stranger sembra giungere alla sua conclusione, perchè, arrivati nel bosco di Eryn Galen ( il futuro Bosco Atro, chiamato qui col suo nome precedente riportato nell’Appendice B) , trovano il loro amico assieme alle tre sacerdotesse di Rhun, che pensano sia Sauron (noi sulle loro intenzioni ci avevamo visto giusto) : lui è confuso, ma non riesce a controllare i suoi poteri, e le tre confidano col tempo di fargli rivelare chi credono sia: l’arrivo di Nori e compagnia, però , spariglia le carte, perchè, di fronte al pericolo in cui lei e gli altri si trovano, qualcosa si risveglia in lui. Spegnerà l’incendio appiccato da una delle sacerdotesse, prenderà in mano il loro bastone e le spazzerà via, non prima che loro comprendano chi è veramente: un Istar, uno Stregone, uno di quelli mandati dai Valar, ta Seconda e Terza Era, per contrastare Sauron. Questa parte della puntata è davvero tesa, e possiamo ammirare il latente coraggio Hobbit che si risveglia e affronta un male infinitamente superiore a loro, che richiama alla mente gli Hobbit che conosciamo ma che si inserisce perfettamente anche qui, perchè, come dice Gandalf nei Racconti Incompiuti, “avevano dimenticato ciò che sapevano sulla grandezza del mondo: la memoria dell’elevato e del periglioso”: insomma, una volta avevano affrontato grandi sfide, e nella drammatizzazione della serie questo concetto di Tolkien è espresso alla perfezione in questa puntata.
Tutto a lieto fine? Come sempre, nella Terra di Mezzo, non tutti possono godere della vittoria. Sadoc, infatti, viene ferito a morte, e assistiamo ad un commovente addio tra il patriarca e gli altri tre, mentre siedono tutti assieme ad osservare l’alba che sorge. Una situazione poetica che ricorda molto le modalità con le quali i Nativi Americani anziani dicevano addio alla vita e alla loro gente.
Tornati dagli altri, è tempo di separazioni commoventi: gli Harfoots ripartono per i loro vagabondaggi lontani dalla Gente Grossa, ma non Nori, il cui destino è quello di viaggiare “oltre il sentiero”, come dice saggiamente suo padre Largo ( Dylan Thomas, a parer mio una delle rivelazioni di questa serie) . Un momento molto commovente di addio, questo, tra Nori e la sua famiglia, ma in particolare tra lei e Poppy, grazie anche alla evidente sintonia tra Markella Kavenagh e Megan Richards, che danno grande verosimiglianza alle scene tra le due Harfoots.
Nori partirà con lo Stregone, che ha deciso di andare a Rhun, perchè ha capito che laggiù c’è qualcosa di malvagio che si sta risvegliando. La scena nella quale i due partono è caratterizzata da un richiamo esplicito al pubblico dei film, perchè “quando sei nel dubbio, Elanor Brandyfoot, segui sempre il tuo naso”, il che sembra suggerire che siamo di fronte al futuro Gandalf e all’antenata di Merry Brandybuck, ma saggiamente gli sceneggiatori si limitano a questo e non dicono mai il nome dello Stregone, che potrebbe essere sì Gandalf, ma in una sua forma precedente, dato che come Gandalf arriva nella Terza Era: un modo per spiegare il perche sapesse sulle origini degli Hobbit più di loro stessi, come dice nel Signore degli Anelli, ma senza citarlo esplicitamente e andando così ad intaccare la cronologia dell’arrivo di Gandalf. Un’invenzione che ci può stare, ma che non esclude ancora l’identità dello Stregone come uno dei Blu, che sappiamo andarono proprio a Rhun, laddove, come dice una delle sacerdotesse, “le stelle sono strane” ( citazione diretta ad una frase pronunciata da Aragorn nei libri).
Insomma, la seconda stagione si prospetta interessante da questo lato, perchè potremmo vedere finalmente queste terre lontanissime….
E infine, l’Eregion, il cuore di tutta la puntata: Galadriel arriva con Halbrand ferito, che viene curato, mentre lei dialoga con Elrond in un momento molto toccante nel quale spiega perchè è saltata giù dalla nave: “sentivo di non esserne degna”, dice, non fino a quando quest’ombra che sta emergendo non sia distrutta, che riprende con molta coerenza ciò che Tolkien dice delle intenzioni di Galadriel nella Seconda Era: nei Racconti Incompiuti, infatti, si dice che cominciava a sentire nostalgia per Valinor ma decise di restare finchè Sauron non fosse stato sconfitto per sempre.
Chiarito questo punto importante- che mette in una luce molto diversa le sue scelte nelle prime puntate- veniamo al punto cruciale: la creazione degli artefatti per rallentare il decadimento. Celebrimbor vorrebbe forgiare una corona col mithril da far indossare a Gil-Galad, il quale rifiuta, diffidente com’è del potere enorme dato ad una sola persona ( come dimostrerà con il suo Anello del Potere, che non userà mai) , e se ne va, permettendo però su preghiera di Elrond, di continuare con i tentativi.
E qui, arriva il momento cruciale: perchè Halbrand, in una scena di grande impatto, si presenta da Celebrimbor, e comincia ad adularlo e a consigliarlo sulla metallurgia, dandogli quei consigli “come un dono”, frase che non ci lascia più dubbi: egli è veramente Sauron, che ha assunto forma d’uomo- come si può leggere in The Nature of Middle Earth- per avvicinarsi a ciò che vuole: ingannare gli Elfi, e legarli a lui. Questo è solo il primo passo, ovviamente; ma deve interrompere i suoi progetti , al momento, perchè Galadriel, quando Celebrimbor, allegro e inconsapevole- Charles Edwards davvero bravo a realizzare il personaggio- , le rivela la discussione tra lui e Halbrand, si insospettisce e, dopo alcune ricerche archivistiche, scopre che l’Uomo le ha mentito: la dinasta del Sud è estinta da 1000 anni, dai tempi del mai citato ma sempre presente tra le righe Uldor il Maledetto.
Così, assistiamo al confronto davvero titanico tra i due, che si trasforma in una versione delle tentazioni di Cristo ambientata nella Terra di Mezzo, con Sauron che, attraverso visioni, cerca di convincerla ad affiancarsi al nel suo progetto di “guarire la Terra di Mezzo”, intenzioni a metà tra il menzognero e il sincero di cui Tolkien parla nel Silmarillion e nelle Lettere: “All’inizio della Seconda Era Sauron era ancora bello a vedersi o almeno ancora capace di assumere un gradevole aspetto esteriore, e in realtà non era ancora completamente malvagio, a meno che tutti i riformatori desiderosi di affrettare ricostruzione e riorganizzazione non siano assolutamente malvagi, prima comunque che l’orgoglio e la brama di esercitare la propria autorità non li divorino”.
Ma Galadriel riesce a sfuggire agli inganni di Sauron, perchè, nonostante abbia sempre desiderato il potere di governare una terra tutta sua- come Tolkien ha scritto più volte- lo ha sempre fatto con l’intento di proteggere, curare e gestire in pace, senza voler dominare. Per Sauron, invece, “curare e dominare sono la stessa cosa”, dice in questa puntata, ed è ciò che lo differenzia dalla Dama, che riesce a resistere anche alla visione in cui lui le mostra un destino in cui domineranno la Terra di Mezzo assieme: Galadriel è stata tentata per due ere da Sauron, come dice tra le righe a Frodo nel Signore degli Anelli, ma ha sempre “superato la prova, e rimarrò Galadriel”, divenendo così la nemica del Maestro di Menzogne.
Così, mentre Sauron sparisce, Galadriel avvisa Celebrimbor di non fidarsi più di Halbrand, in caso dovesse tornare, ma dallo sguardo di Celebrimbor sappiamo che non crederà a Galadriel e che questo porterà ai suoi rapporti con Sauron, questa volta nei panni di Annatar.
Galadriel, però non rivela di aver scoperto che Halbrand è Sauron, anche se in una scena Elrond ritrova l’albero genealogico dei Re del Sud e capiamo che lui arriverà ben presto alla verità; l’atteggiamento di Galadriel, in apparenza assurdo, si può comprendere pensando che le parole di Sauron che la accusa con malizia di essere la responsabile del suo risveglio, le ronzano ancora in testa, e ha paura di perdere la fiducia degli Elfi, che sta ritrovando a stento.
Un’interpretazione della serie, ovviamente, questo aspetto, ma che ha senso all’interno della storia drammatizzata qui.
Infine, le ultime scene mettono davanti ai nostri occhi qualcosa di stupefacente: la creazione dei Tre Anelli degli Elfi. Il suggerimento di Sauron di creare qualcosa di “piccolo” per non disperdere i poteri del mithril Silmarillizzato viene purtroppo accolta, e questa è la Caduta degli Elfi o perlomeno il suo inizio, di cui parla Tolkien; ma la saggezza di Galadriel, che fa notare che un solo oggetto “corrompe“, mentre Tre uniscono tra loro chi li porta, permette di creare degli Anelli la cui idea non sia di Sauron ma degli Elfi soli. “ La sua mano non li ha mai sfiorati nè toccati”, dirà Elrond nel Signore degli Anelli, ed è ciò che vediamo qui: Anelli che non servono per dominare, ma per curare, risanare e ed eternare i luoghi che si amano, rallentando il decadimento: è sempre una Caduta ma con uno spicchio di Bene da non sottovalutare.
Nel futuro sarà fondamentale. E così, dopo aver visto la meravigliosa forgiatura di Narya, Nenya e Vilya– con le tre gemme che adornano gli Anelli- l’ultima scena ci mostra Sauron che si dirige verso il Monte Fato e la terra che ormai ha un solo nome: Mordor.
E così i grandi eventi della Seconda Era sono stati messi in moto da una prima stagione senza dubbio introduttiva ma brillante nel dispiegare davanti a noi tanti temi cruciali delle opere di Tolkien.
L’attesa per la seconda stagione sarà lunga ma il viaggio è davvero iniziato, e siamo pronti a metterci in cammino.
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