Con la ricorrenza dei cinquant’anni dalla morte di J.R.R Tolkien, anche l’Italia propone una mostra che esplora l’autore, le sue opere e la sua eredità oggi. Da ieri 16 novembre, infatti, fino all’11 febbraio 2024, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (GNAM) a Roma è in esposizione la mostra “Tolkien. Uomo, Professore, Autore”, ideata dal Ministero della Cultura con la collaborazione dell’Università di Oxford e curata dallo studioso e collezionista tolkieniano Oronzo Cilli, assieme al co-curatore Alesssandro Nicosia, e con contributi di studiosi del valore di Giuseppe Pezzini ( docente di lingua e letteratura latina a Oxford), Roberta Tosi ( autrice de L’arte di Tolkien), Padre Guglielmo Spirito ed altri, il cui elenco si può leggere nel catalogo della mostra, a differenza delle precedenti mostre internazionali di Oxford (2018), Parigi (2020) e Milwaukee (2022), si concentra sull”uomo Tolkien, come si può leggere sul sito stesso della Galleria Nazionale nella sezione di presentazione della mostra:
“Per la prima volta viene raccontato l’uomo, padre e amico; accademico, autore di studi e pubblicazioni ancora oggi fondamentali nello studio della letteratura in antico e medio inglese; narratore e sub-creatore della Terra di Mezzo. Ci sarà anche spazio per tutto ciò che ha ispirato nell’arte, nella musica e nel mondo dei fumetti”.
Il progetto della mostra è chiaro: ci si concentra sull’uomo Tolkien, presentandolo a chi non lo conosce e anche a chi già lo frequenta, per mostrare come la vita, la professione e l’essere stato autore siano in stretta correlazione tra loro, non certo per fare del “biografismo”- come è stato scritto ancor prima che la mostra venisse inaugurata- ma per far comprendere come la subcreazione tolkieniana sia nata e abbia trovato linfa dall’intersecarsi della sua vita e dalla professione di insegnante universitario a Oxford.
Ciò che si vive e ciò che si ama fare nella vita innerva tutte le opere che si scrivono: ovviamente ciò che si scrive non è mai trasposizione della propria esistenza, ma l’esperienza di vita plasma il modo in cui si scrive e i profondi desideri per i quali raccontiamo storie.
Questa è la finalità della mostra, che, come leggiamo sul sito dello GNAM, contiene “manoscritti autografi, lettere, memorabilia, fotografie e opere d’arte ispirate alle visioni letterarie di un autore unico e poliedrico”, oltre che materiali provenienti dagli adattamenti cinematografici di Peter Jackson e Ralph Bakshi: tutti i contenuti della mostra provengono dalle più disparate istituzioni internazionali coinvolte: l’Archivio Apostolico Vaticano, la Bibliothèque Alpha dell’Università di Liegi, l’Università di Reading, l’Oratorio di San Filippo Neri di Birmingham, il Venerabile Collegio Inglese di Roma, la Tolkien Society, la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, la Biblioteca civica di Biella, le case editrici Astrolabio-Ubaldini e Bompiani, il Greisinger Museum di Jenins e la Warner Bros Discovery.
Insomma, una mostra da non perdere, che noi di Sentieri abbiamo visitato in anteprima e che è davvero vastissima come contenuto e qualità, e inoltre è un’esposizione che non ha nessun contenuto “politico”, come è stato detto negli scorsi giorni (anche qui, prima che la mostra vedesse la luce).
Purtroppo, anche in questa occasione, non sono mancate le polemiche, in scia di quella diatriba infinita che cerca di etichettare Tolkien “di destra” oppure “di sinistra”: dibattito che non porta nulla alla vera conoscenza dell’autore.
Non si intende qui entrare in questa discussione dannosa, e preferiamo lasciarvi alla lettura di un articolo davvero importante di uno degli studiosi che hanno collaborato alla mostra, Giuseppe Pezzini, che in questo articolo su Doppiozero illustra molto bene quale sia il vero punto della questione, molto lontano da tali diatribe.
Pezzini ci chiarisce come Tolkien sia:
“difficilmente riducibile ad un’etichetta, e come il concetto di ‘conservatore’ al massimo può descrivere solo un aspetto di una complessa personalità, il cui unico tratto dominante sembra essere l’ostilità verso qualunque progetto egemonico (anche in campo letterario)“. Infatti, se il conservatorismo è presente, tuttavia non è l’unica visione possibile: infatti “si tratta di una visione parziale, nel senso etimologico, una parte all’interno di un mondo più ampio. In Tolkien il conservatorismo è infatti ‘focalizzato’, si direbbe in termini narratologici. Il focus a cui mi riferisco è quella degli ‘elfi’, i ‘conservatori’ per eccellenza, il cui motivo principale appunto è quello di “prevenire o rallentare il decadimento (cioè il ‘cambiamento”, percepito come cosa deplorevole), la conservazione di ciò che è desiderato o amato” (Letters 131). Il conservatorismo elfico traspare nella loro ossessione per la memoria, nella loro tipica tentazione “imbalsamatrice” (Lettera 154), nello sforzo di preservare l’“età dell’oro” in appartati loci amoeni, tra cui soprattutto la terra senza tempo di Lórien (appunto “il Bosco d’Oro”), il cui status è garantito dal potere ‘conservativo’ dell’anello di Galadriel”.
Ma la cosa fondamentale è che Tolkien non condivide completamente la posizione degli Elfi, che
“non sono del tutto buoni o nel giusto” proprio perché “cercavano di fermare il cambiamento e la storia” (Lettera 154). Insomma, la debolezza elfica è “quella di rimpiangere naturalmente il passato e di non essere disposti ad affrontare il cambiamento (Lettera 181)”. La creazione letteraria tolkieniana è quindi sfaccettata e non inquadrabile: “non c’è spazio per l’idealizzazione di alcun particolare, e infatti anche gli hobbit (altri personaggi ‘conservatori’ per natura) “non sono una visione utopica, né sono raccomandabili come ideale nella loro epoca o in qualsiasi altra. Essi, come tutti i popoli e le loro situazioni, sono un incidente storico (…) e, a lungo termine, sono temporanei. Non sono un riformatore né un “imbalsamatore”! (Lettera 154).
Così, conclude Pezzini- con grande acutezza-
“alla radice della potenza narrativa tolkieniana c’è proprio questa ampiezza e profondità di visione, che trascende qualunque idiosincrasia autoriale e resiste a qualunque possibile riduzione e stereotipo. Questo spiega anche come mai l’unico approccio legittimo a Tolkien sia quello aperto alla complessità, diversità e polarità, che solo la grande letteratura è capace di creare”.
La mostra, quindi, forte di contributi di questo calibro, si inserisce in un percorso chiaro e onesto di conoscenza del Professore, che anche in Italia merita di essere compreso nella sua interezza.
Per approfondire: “Perché politicizzare Tolkien è un errore. Parla Sassanelli“, l’intervista a Ivano Sassanelli su Formiche.net
Scrivi un commento