Siamo entrati nella seconda metà della prima stagione de Gli Anelli del Potere, e la quinta puntata costituisce una svolta, perchè vengono inseriti temi centrali, alcuni palesi e altri da scoprire tra le righe, che costituiscono l’asse portante della Seconda Era scritta da Tolkien.

All’inizio, vediamo finalmente il viaggio degli Harfoots, che attraversano le future Terre Selvagge della Terza Era mentre la bella voce di Poppy ( Megan Richards) canta una canzone da viaggio, The Wandering Day, scritta dallo showrunner JD Payne, che mescola abilmente il ritmo e le parole delle tante canzoni hobbit del Signore degli Anelli e alcuni versi della poesia scritta da Bilbo per Aragorn: “non tutti coloro che vagano si sono persi”. Davanti a noi scorrono le difficoltà della piccola gente, che, tra fango, freddo, boschi stranamente desolati e orrendi lupi primordiali, compie un esodo davvero faticoso: un modo molto affascinante per raccontare i secoli nei quali i proto Hobbit hanno camminato e vissuto nascosti a tutti. In questa avventura, lo Straniero li salva dai lupi mostrando capacità stregonesche ma non c’è pace per lui e Nori, che lo sostiene in ogni cosa, insegnandogli a parlare: per curarsi dalle ferite inferte dai lupi, l’Uomo della meteora involontariamente colpisce Nori mentre questa osserva il braccio del gigante tramutarsi in ghiaccio, e fugge spaventata. Che accadrà tra loro? E perchè tre misteriose sacerdotesse osservano dall’alto il buco lasciato dalla meteora? Sappiamo che vengono da Rhun ed erano seguaci di Morgoth. Credono forse, come il vecchio Waldreg delle Southlands, che Sauron sia arrivato con la meteora? Dovremo vedere le prossime puntate per scoprirlo, ma la cosa interessante di questa serie è che ogni popolo viene mostrato con le sue credenze, speranze ed illusioni, il che dà al mondo della Seconda Era una grande verosimiglianza. Questo aspetto lo si vede molto bene nel Lindon, quando, dopo una cena “tesa” e divertente tra Durin e gli Elfi, vediamo Gil-Galad (Benjamin Walker) tentare di convincere Elrond a riverlargli il segreto del mithril, dimostrando di esserne in qualche modo a conoscenza, e mettendo in chiaro che lui e Celebrimbor avevano già subodorato qualcosa.

Elrond ovviamente tentenna, ed è a quel punto che Gil-Galad gli ricorda “un’oscura leggenda apocrifa” secondo la quale un guerriero elfico dal cuore puro avrebbe difeso l’ultimo Silmaril rimasto al mondo incastonato in un albero dalla furia di un Balrog che lo voleva distruggere: la scena è bellissima, e rimanda alle tante illustrazioni della lotta tra Glorfindel e il Balrog. Di “vero”, nella storia della Terra di Mezzo, c’è che il Silmaril di Maedhros piombò nelle viscere della terra e non se ne seppe più nulla, e qui con tutta evidenza non si sta parlando di una verità ma di una speranza e una leggenda a cui gli Elfi vogliono credere: Gil-Galad e Celebrimbor spiegano ad Elrond che, secondo loro, l’unico modo per rallentare il decadimento Elfico e la loro partenza dalla Terra di Mezzo- che dai testi stava già avvenendo- è sfruttare la luce del Silmaril che è fluita, secondo questa storia, nel mithril. Una follia, parrebbe; ma non bisogna dimenticarsi che, in quest’epoca, Sauron, sotto mentite spoglie, ha già stretto amicizia con gli Elfi dell’Eregion e quindi Celebrimbor potrebbe già esserne influenzato.

In questa puntata, infatti, vediamo il grande artefice Elfico quasi in preda ad una febbre, come se una visione lo ossessionasse: Tolkien dice chiaramente che voleva superare il nonno Feanor, e nella serie Celebrimbor ha già espresso questo desiderio. Per convincere Elrond, gli racconta un toccante episodio riguardo suo padre, sa che è il suo punto debole, e lo convince: una strategia, questa, ma non possiamo non apprezzare l’ennesimo riferimento a Earendil il Marinaio.

Queste scene partono da una base forte, ciò che Tolkien disse in una lettera riguardo alla “caduta” degli Elfi della Seconda Era: «Ma gli Elfi non sono completamente buoni o nel giusto: non tanto perché hanno flirtato con Sauron; quanto perché con o senza il suo aiuto erano degli «imbalsamatori». Volevano la botte piena e la moglie ubriaca: vivere nella Terra di Mezzo, nella storia e tra i mortali, perché ormai ci si erano affezionati ( e forse perché lì avevano tutti i vantaggi di essere una casta superiore) e così tentare di fermare i cambiamenti e la storia, fermare la sua crescita, considerarla un luogo di delizie, anche se in gran parte deserta, dove loro potevano essere gli «artisti» e contemporaneamente essere pieni di tristezza e rimpianto nostalgico».

Questa storyline ha origine da queste parole, ed è il primo tentativo per rallentare il decadimento, che porterà poi alla creazione degli Anelli. Una scelta di sceneggiatura coraggiosa, a mio modo di vedere, che provocherà discussioni; ma le scelte fanno sempre discutere, altrimenti non sarebbero scelte.

E infine, ecco che due storyline cominciano ad avvicinarsi tra loro: nelle Southlands le truppe di Adar sono in marcia per la torre, non prima di un momento molto commovente nel quale Adar- un Joseph Mawle gigantesco- rimpiange la luce del sole che sta abbandonando il suo corpo di Elfo corrotto. Ma ormai è tardi, per lui, e subito dopo mostra la sua brutalità quando gli Uomini guidati da Waldreg si presentano a lui, dopo aver abbandonato i rifugiati comandati da Bronwyn e Arondir. Waldreg crede che Adar sia Sauron, ma lo sguardo dell’Elfo gli fa capire che si è sbagliato. Ma ha ancora una possibilità di essere d’aiuto: legarsi al male con un sacrificio, uccidere il giovane Rowan che lo ha seguito. La scena si interrompe, e si sposta ad Ostirith. Lì troviamo un bel confronto tra Theo e Arondir: i due cominciano finalmente a capirsi, gettano via i loro pregiudizi verso le rispettive etnie e decidono di aprirsi l’uno verso l’altro. Così Arondir viene a sapere del pugnale. Veniamo in parte a scoprire l’origine dell’oggetto: “è una chiave“, dice l’Elfo, che probabilmente, ipotizzo io, serve a far riconoscere i veri seguaci di Morgoth e Sauron tra gli Uomini. Theo, quindi, ora, è in grande pericolo.

Però, nel frattempo, i Nùmenoreani sono finalmente salpati, dopo indecisioni e conflitti tra le righe, che sembrano già prefigurare le future lotte interne: Pharazon ( un sempre più bravo Trystan Gravelle) gioca con tutti: col figlio, spingendolo ad un inutile atto inconsulto che verrà in qualche modo frenato da Isildur, che per ricompensa verrà aggregato alla spedizione; con Miriel, sussurrandole di ripensare alla spedizione e in questo modo pungendo il suo orgoglio; e pure verso se stesso, perchè di fronte al brusio della folla isolazionista che non vuole aiutare la Terra di Mezzo capisce che dovrà staccarsi del tutto da Miriel: l’unico modo è comunque lasciarla partire e rimaner da solo a controllare l’isola, non prima di aver spiegato al figlio i vantaggi di una politica “coloniale” nella Terra di Mezzo, che porterà poi, alla fine dei conti, secondo lui, a dominare sugli Elfi stessi. Il titanismo tragico e blasfemo di Ar-Pharazon è già davanti a noi.

Per concludere, vorrei sottolineare la grande performance, ancora una volta di Morfydd Clark, che, in una scena molto toccante con Halbrand, rivela il dolore che la attanaglia e la costringe a fare di tutto per salvare la Terra di Mezzo… e se stessa. Si apre, Galadriel, con Halbrand, ma, tra le righe, comincia a sospettare di lui per qualche aspetto, riguardo alla sua abilità di fabbro.

Che abbia già sentore che l’Uomo nasconda qualcosa, e che sia ben di più di quello che mostra essere?

Non ci resta che attendere- forse- venerdì per scoprirlo!