Episodio tesissimo, oscuro, pieno di emozioni: bellissimo ma colmo di dolore, tragedia incombente e perdite improvvise e laceranti.
Vediamo all’opera il potere dei Sette Anelli sui Nani, e soprattutto su Durin III- un Peter Mullan da applausi- che cade sempre più nella cupidigia, nel furore e nella confusione mentale: viene così descritto perfettamente il potere dei Sette sui Nani, che non danno invisibilità ma cieca brama. Si segue così ciò che viene detto nell’Appendice A del Signore degli Anelli: “l’unico potere che l’Anello esercitava su di essi era di infiammare i loro cuori rendendolo avidi d’oro e di oggetti preziosi, a tal punto che se non ne possedevano, ogni altra cosa pareva loro inutile e venivano colti dal furore e dal desiderio di vendetta“. Un potere, questo, che su Durin III è “veloce” certo a causa dei ritmi del cinema, ma è rapido già in Tolkien: la velocità con cui avvelena la mente di Thràin, padre di Thorin, che in pochissimi anni diventa ossessionato dall’oro, è emblematica.
In questa puntata vediamo mostrati con grande abilità gli effetti dell’Anello non solo sulla persona del Re, ma anche sul mondo Nanico: se è vero che grazie ad esso Durin percepisce dove scavare e la luce torna a Khazad-dum, si crea però un clima oscuro e decadente, reso evidente dalla creazione della “tassa dell’Anello” che tutti i Nani devono donare allo Stato. E se per adesso Durin figlio ritrova il favore del padre, però egli è lacerato, perchè sospetta dell”Anello, e vanamente va in Eregion a dirlo a Celebrimbor, il quale, benchè sofferente e preda ai primi dubbi su Annatar, è troppo legato a lui e debole, perchè la creazione degli Anelli lo sta logorando fisicamente e spiritualmente.
L’Eregion, ormai, è in mano a Sauron: un Annatar sempre più diabolico che, per convincere Celebrimbor a fabbricare i Nove, cita, elogiandoli, quattro Uomini suoi acerrimi nemici: Earendil, Tuor, Beren e Barahir, grandi eroi del Silmarillion: questi ultimi due da lui hanno subito caccia, torture e persecuzione, quindi la citazione è doppiamente velenosa.
Un momento emozionante ma anche molto amaro, perchè vediamo come Sauron raggira Celebrimbor e i fabbri a suo piacimento, non mentendo mai del tutto. E’ davvero l’Ingannatore, e riesce a spuntarla sempre: quando Celebrimbor si oppone alla creazione dei Nove perchè gli Uomini “si corrompono facilmente” ( diretta citazione del Silmarillion), Sauron non solo cita i grandi eroi degli Uomini di cui abbiamo detto, ma ribalta il tavolo accusando Celebrimbor di aver sbagliato con i Sette perchè ha mentito a Gil-Galad e quindi la corruzione è entrata negli Anelli a causa della menzogna ( ovviamente instillata nell’Elfo dalle sue parole): i Nove saranno “tre di tre“, e quindi perfetti.
Difficile resistere al potere di Sauron, maestro di menzogne. E Celebrimbor, in preda alla sofferenza- Charles Edwards davvero commovente in questa puntata- , lo vediamo qui nel pieno del suo dramma, e risuonano le parole di Tolkien nei Racconti Incompiuti: “Celebrimbor non era corrotto, nè aveva perduto la fede, ma credeva che Sauron fosse ciò che si fingeva”.
Momento culminante della storyline, a mio avviso, è però l’attimo in cui vediamo il potere dei Nove: l’invisibilità e il passaggio nel mondo Invisibile, attraverso la tragica esperienza dell’Elfa Mirdania- davvero convincente Amelia Kenworthy- e soprattutto con la spiegazione da parte di Sauron di come funziona quel mondo: ciò che Tolkien ha raccontato viene qui spiegato con grande chiarezza.
Mirdania si trova nel regno delle Ombre e vede un essere “di fiamma” che puzza di morte, che la getta in un vortice di visioni e incubi: Sauron, con grande abilità, gira la cosa a suo piacimento e le spiega che si tratta di Celebrimbor, che si sta “trasformando”: ovviamente, è il suo potere, insito negli Anelli, che diventeranno i futuri Nove, ma l’obiettivo di Sauron è chiaro: circuire tutti i fabbri Elfici, la Gwaith-ì-Mirdain dei Racconti Incompiuti, per far sì che tutto sia fatto come egli vuole. In questo senso, rientra anche il momento in cui elogia le trecce di Mirdania, che gli ricordano quelle di Galadriel: il Male tenta in maniera anche seducente, non va mai dimenticato, e non a caso Tolkien nei Racconti Incompiuti dice che andò in Eregion e assunse “l’aspetto più seducente che potè”.
Non lo fa per motivi “sentimentali”, ovviamente, ma solo per attirarla a sè e far sì che faccia quel che vuole.
La parte più drammatica della puntata, però, è a Nùmenor, e davvero è difficile scegliere il momento più bello, intenso e drammatico.
Ar-Pharazon, appena diventato Re con un tumulto popolare, dialoga con il figlio Kemen ( in questa stagione finalmente comincia a essere all’altezza degli altri personaggi) e gli parla di Tol Eressea, l’isola vicino a Valinor in cui vivono gli Elfi tornati dalla Terra di Mezzo alla fine della Prima Era, e con cui per molto tempo i Numenoreani avevano instaurato amicizia.
Ora le cose sono molto cambiate, e Pharazon racconta di Eressea e della sua bellezza con sguardo distorto: secondo lui la Torre di Eressea, gemma meravigliosa, è stata “messa lì dagli Elfi per spiarci, così che ogni tramonto serva a rammentarci che i nostri giorni devono finire, e i loro invece no”.
In pochissime righe di dialogo, emerge tutto il dramma dei Nùmenoreani, disperati per la propria mortalità, colmi di invidia per gli Elfi ma anche pieni di brama.
La loro invidia per gli Elfi, tema centrale del Silmarillion, emerge con grande forza in questo discorso di Pharazon- un sempre eccellente Trystan Gravelle- assieme a citazioni quasi dirette del Silmarillion.
Pharazon parla della Torre elfica messa in Eressea per spiare gli Uomini, e i Numenoreani, all’epoca, chiamavano gli Elfi di Eressea “Spie dei Valar”.
Insomma, siamo entrati nell‘Akallabeth, la Caduta di Numenor, e la tragedia incombe.
In seguito, troviamo il commovente colloquio tra Miriel ed Elendil, nel quale vediamo anche un differente modo di affrontare l’ascesa al regno da parte di Pharazon: Mìriel pare rassegnarsi, e qui troviamo echi della versione di The Peoples of Middle Earth, nella sezione “The History of Akallabeth”, dove Mìriel ha un rapporto molto intenso con un abbozzato zio di Elendil, Elentir, ma finisce poi per scegliere Pharazon e avvicinarsi a lui.
Nella serie ovviamente il lato “romance” è assente, ma è presente quel rapporto affettivo, con Elendil che “sostituisce” questo zio mai sviluppato, e Mìriel che cerca di fargli capire che va accettato il nuovo corso perchè è l’unico modo per far sì che Nùmenor si salvi: Elendil deve essere “la calma nella tempesta“.
Non è facile, però: Elendil, grazie a lei, ha ritrovato la via dei Fedeli, e la percorre assieme al nobile Valandil, personaggio tragico e commovente, che pone fino al suo percorso, in maniera tragica, eppure coraggiosa e tipica di molti eroi “minori” di Tolkien: facendo il suo dovere fino in fondo incurante di ciò che possa capitargli.
Una scene altamente drammatica, quella all’interno del santuario dei Fedeli, che pregano i Valar, e che vengono aggrediti dagli Uomini del Re- per la prima volta vengono citate le due fazioni del Silmarillion in maniera esplicita-perchè pregare i Valar è proibito, e il futuro è di coloro che vivono solo per sè stessi, e ritengono un acquedotto più importante di un luogo dove si condivide il dolore.
Davvero intenso è il momento in cui Kemen, sempre più odioso in questa stagione, rompe la statuetta raffigurante la Vala Nienna- la statua raffigura un essere femminile in lacrime, e quindi l’identificazione è abbastanza certa-che un debole e vecchio Fedele conservava con pietà e sofferenza.
Una scena che non può non colpire al cuore, una scena molto attuale: il fanatismo ha sempre lo stesso volto arrogante e violento.
Così, parte la sommossa, e Valandil- che sarà anche il nome del quarto figlio di Isildur- viene ucciso a tradimento da Kemen, alle spalle. Elendil viene perfidamente accusato di essere stato responsabile della sommossa e viene condotto in carcere. Il buio piomba su Nùmenor.
Elendil- interpretato con la solita maestria da Lloyd Owen- è travolto dal dolore per la perdita di un giovane che ormai vedeva come suo terzo figlio maschio, in sostituzione di Isildur che crede morto, eppure vive, le preghiere ai Valar non potranno mai cedere alla forza arrogante degli Uomini del Re, nonostante tutto: Kemen- finalmente il personaggio sta diventando convincente- è sulla buona strada per diventare un Nazgul, mentre Elendil, pur nella sofferenza, sceglierà sempre la strada giusta, e il suo percorso è appena iniziato.
Un episodio che prelude al gran finale, ma non lo si può definire di raccordo: abbiamo visto situazioni centrali per la Seconda Era di Tolkien, raccontati magnificamente e con grande fedeltà.
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