Nei giorni scorsi è (finalmente) giunto in Italia il film biografico Tolkien, diretto dal regista finlandese Dome Karukoski e con interpreti principali gli attori inglesi Nicholas Hoult e Lily Collins (figlia del celebre cantautore britannico). Un film che racconta in modo insolitamente poetico e commovente la giovinezza di uno dei più grandi scrittori del ‘900, John Ronald Reuel Tolkien.
“Il ritratto del giovane Tolkien”: questo avrebbe potuto essere il titolo più appropriato per questo lavoro che racconta gli anni giovanili della vita dello scrittore. La storia inizia quando al principio del Novecento il mondo delle ciminiere e delle grandi costruzioni in mattoni rossi prese decisamente il posto, nella vita del piccolo Ronald, del delizioso mondo di Sarehole Mill, il villaggio fuori Birmingham dove aveva trascorso l’infanzia; qui era rientrato dal nativo Sudafrica, dove il padre – che vi era stato inviato per lavoro- era morto quando il bambino aveva solo quattro anni.
Alla morte del padre, aveva fatto seguito quella della madre, Mabel, avvenuta quando Tolkien aveva tredici anni. Questo evento cambiò definitivamente la vita di Ronald, una tragedia che modificò in modo significativo anche il suo carattere: se rimase sempre improntato alla gentilezza, alla disponibilità all’amicizia, all’amore per le cose belle della vita, acquisì tuttavia una nota di malinconia fondata su un intimo sentimento della caducità delle cose. “Niente vi sfuggiva, niente sarebbe durato in eterno, nessuna battaglia sarebbe stata vinta per sempre”. Ronald era deciso a seguire il cammino che sua madre gli aveva indicato, sia negli studi, sia fortificandosi nella fede per cui lei era vissuta e morta.
Mabel, morendo, non aveva lasciato soli i figli, Ronald e Hilary, ma li aveva affidati a padre Francis Xavier Morgan designandolo come loro tutore. Padre Francis era un sacerdote oratoriano, un discepolo di Newman di vasta cultura, brillante, forte, cordiale. Di famiglia benestante, attinse generosamente alle proprie risorse per far fronte alle necessità di Ronald e Hilary, che avevano trovato nell’Oratorio una vera casa. Così Ronald poté proseguire gli studi, mettendo in luce tutte le sue brillanti qualità.
Quando fu adolescente, il sacerdote trovò per lui e il fratello Hilary una sistemazione in un pensionato vicino all’Oratorio. Qui era ospitata anche una ragazza diciannovenne, anch’essa orfana, di nome Edith Bratt. Aveva tre anni più di Ronald, una giovane decisamente graziosa, piccola di statura, snella, capelli corvini e occhi verdi. Ronald, con la sua serietà, la sua timidezza, i suoi modi garbati e il suo cuore ferito e sognante ne fu presto conquistato. Le loro stanze erano su due piani diversi dell’edificio, e i ragazzi trascorrevano lunghe ore alla finestra a parlarsi, di sera, a volte arrivando a trascorrere l’intera notte in interminabili chiacchierate, fino a vedere sorgere il sole sulla foschia di Birmingham. Erano due ragazzi bisognosi d’affetto e scoprirono presto di essere innamorati, un amore destinato a durare tutta la vita, tra fatiche, dolori e contrasti.
Il film racconta dunque di questo amore pulito, limpido, romantico, ma tenace. Una storia d’amore di una volta, che certamente stupirà i giovani spettatori di oggi. Così come racconta delle amicizie di Tolkien: anche in questo caso amicizie belle, pulite, senza alcuna ombra.
Negli anni delle scuole superiori, al King Edward’s, Ronald aveva stretto un entusiasmante sodalizio umano e culturale con altri ragazzi dell’istituto: erano i TCBS, ovvero “Tea Club and Barrovian Society”, coloro che prendevano insieme il tè, preferibilmente presso la sala dei Magazzini Barrow, a Birmingham. La combriccola era animata principalmente dallo stesso Tolkien e da altri due ragazzi, Christopher Wiseman e Robert Gilson; al gruppo si aggiunse poi un altro studente di tre anni più giovane di Tolkien, che gli fece scoprire il fascino e il significato della poesia: Geoffrey B. Smith.
Erano studenti entusiasti, innamorati dei miti antichi, e amavano ritrovarsi a leggere insieme, raccontandosi le loro impressioni, leggendo le poesie che componevano, facendo passeggiate estive. Tolkien si esercitò con questo piccolo e appassionato pubblico di intenditori a leggere e commentare le saghe antiche. Il TCBS fu uno dei maggiori motivi di gioia nella non facile giovinezza di Ronald, e la gratificazione che proveniva da queste amicizie riuscì in parte a compensare il successivo lungo distacco forzato da Edith.
La guerra separò drammaticamente i TCBS, che avevano continuato a frequentarsi anche dopo gli anni di scuola. Vennero uccisi nel corso del 1916 sia Gilson che il giovane Smith. Questi, poco prima della sua fine, aveva scritto una lettera a Tolkien, le cui parole finali avrebbero risuonato a lungo profeticamente nel cuore dell’amico: “La mia principale consolazione è che se finirò nei guai questa notte – sarò fuori, in servizio, tra pochi minuti -, ci sarà sempre un membro del grande TCBS che racconterà cosa sognavo e su che cosa eravamo tutti d’accordo. Poiché la morte di uno dei suoi componenti non può, ne sono profondamente convinto, dissolvere il TCBS. La morte può renderci ripugnanti e inermi come individui, ma non può porre fine agli Immortali Quattro! Una scoperta che sto per comunicare anche a Rob, prima di partire questa notte. E la scriverò anche a Christopher. Possa Dio proteggerti e benedirti, mio caro John Ronald, e possa tu raccontare le cose che ho cercato di dire, anche dopo che io non sarò più qui per raccontarle, se questo sarà il mio destino”.
Il film è dunque la storia di una formazione, di una crescita umana di un giovane, che avviene anche tra dolori e sacrifici. È una storia che intreccia le vicende della giovinezza del futuro scrittore con le vicende della Prima Guerra Mondiale, cui partecipò come sottotenente nei Fucilieri del Lancashire. La vita militare gli risultò subito odiosa. “Tra i superiori non esistono gentiluomini, e persino gli esseri umani sono rari”, scriveva alla fidanzata. Il mito dell’ufficiale britannico evidentemente non fece alcuna presa su un giovane nutrito di sentimenti cavallereschi.
Un film dunque che parla di affetto, di amicizia vera, di eroismo, di sacrificio, di senso dell’onore, di amore per l’arte. Un film commovente e intenso. Risulta pertanto difficile capire il perché di certe critiche lette nelle scorse settimane, a film ancora al di là dall’essere proiettato, in particolare di parte cattolico-conservatrice, che lamentavano che il film fosse “poco cattolico”. Francamente non si capisce il motivo di questa critica, visto che nella storia è presente la madre di Tolkien, che fa riferimento esplicito alla Chiesa, così come è presente padre Morgan, il prezioso tutore e maestro di Tolkien, così come traspare in modo evidente la religiosità profonda del futuro autore del Signore degli Anelli, una spiritualità tipica del cattolicesimo inglese, costruita sulla consapevolezza che il cristiano è destinato ad essere perseguitato da un mondo che lo odia. un cattolicesimo che non è stato mai capito né da certo tradizionalismo, che ha bollato Tolkien come “pagano”, semplicemente perché nella sua epica non ci sono santi o santini, e neppure dai modernisti che recentemente hanno cercato di descrivere la sua storia come un esempio di “società multietnica” della solidarietà e dell’accoglienza, un’icona della neochiesa in uscita. Distorsioni dell’immagine di un grande scrittore, e di un grande maestro che non può essere ridotto in nessun schema ideologico.
Paolo Gulisano
Fonte: Ricognizioni.it -PaoloGulisano.com
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