Innanzitutto, una premessa: se pensate che il film racconti la vita di Tolkien e la genesi delle sue opere, soprattutto le sue più note vale a dire Lo Hobbit e Il Signore Degli Anelli, sappiate che rimarrete delusi.
Tolkien non è il classico biopic che generalmente racconta, per filo e per segno e in ordine cronologico, la vita del protagonista in questione. Questo film racconta solo alcuni momenti significativi più altri, in modo molto frammentato.
Tanto per capirci, in questo film non vedrete Tolkien bambino in Sudafrica né tantomeno il rapporto con il padre, la creazione delle sue opere, la sua vecchiaia o tanti altri momenti clou della sua esistenza.
La vita di Tolkien, in questo che rimane comunque un ottimo film, diretto dal finlandese Dome Karukoski, viene concentrata in tre principali momenti della sua vita.
Il punto focale, o crocevia del film, è la fatidica Battaglia della Somme, combattuta tra il Luglio del 1916 e il Novembre dello stesso anno.
Fate attenzione! È qui dove, probabilmente, vedrete i momenti più evocativi di quello che sarà la genesi della Terra di Mezzo e dei suoi protagonisti pur non essendo mai nominati o indicati esplicitamente.
Ed è proprio questo che funziona così bene del film. Come nei trailer, tutto ciò che non è reale e che esce dalla fantasia e dalla visione del giovane Tolkien appare sempre compre come un’ombra sfuggente, mischiata nella follia della guerra, nelle sue esplosioni, nei vili gas mostarda del nemico tra le trincee.
Tra quelle ombre e gli scontri nella terra di nessuno, Tolkien vede gli eserciti che si scontreranno nelle sue opere, i mostri che minacceranno i regni che andrà a fondare, più avanti tra le pagine dei suoi scritti.
La narrazione fa diversi salti a ritroso nella giovinezza dello scrittore, dove già orfano di padre vive con la madre e il fratello Hilary, anche lui un “fantasma” che sparirà nei meandri della pellicola fino al finale. Presente e importante la figura di Padre Francis (il bravissimo Colm Meaney) e quello che saranno i membri della compagnia di Tolkien.
Di particolare impatto la bellissima fotografia che mette in risalto i colori vividi e tutte le tonalità del verde della campagna dell’Inghilterra rurale del giovane Tolkien (la sua Contea), che farà da contraltare al grigiore e allo scuro della grande città di Birmingham (che dovrebbe ricordarci il destino di Isengard) e ai colori stantii e asciutti delle biblioteche e aule scolastiche, che vagamente ricordano Minas Tirith.
Dove davvero funziona il mischiarsi di questi luoghi, così diversi ed opposti, è la costante presenza di una luce calda e avvolgente, a tratti ristoratrice, che “buca” l’oscurità, attraverso i lampioni di Birmingham e le lanterne nel buio delle stanze o, nel caso di scene in pieno giorno, di quella bianca ed accecante del sole rischiaratore sovraesposta, fino all’uso del color correction per far risaltare ed esaltare i colori in alcuni elementi. Vi sono molti esempi soprattutto durante la battaglia della Somme, in mezzo al grigio scempio di morte nelle trincee francesi.
Ed è proprio questo il fulcro del film; laddove sembra esserci il buio, la pellicola sembra sussurrarci all’orecchio, come del resto fa dama Galadriel, che anche la più fioca luce può rischiarare il cammino nell’oscurità.
Basilare in questo racconto è il rapporto con i compagni di scuola che formeranno il T.C.B.S. (Tea Club, Barrovian Society), quella compagnia dove il giovane Tolkien potrà finalmente dare sfogo alla sua creatività.
La fellowship nasce dal bisogno dei quattro ragazzi di esternare quelle abilità artistiche (ognuno di loro ne ha una), che spesso vengono represse dalle proprie famiglie in una società, quella britannica di inizio ‘900, poco avvezzo alla coltivazione di un talento personale. La formazione dei ragazzi era, all’epoca, prerogativa di padri, più ufficiali di brigata che genitori amorevoli.
Tolkien, orfano di entrambi i genitori, risulta essere trainante nel gruppo proprio perché più libero da “restrizioni” da parte di adulti.
Tutto questo porterà al rapporto con l’amata Edith, che a un certo punto del film subisce un’improvvisa accelerata (forse uno dei pochi difetti del film) e poi un brusco arresto.
L’amore tra i due, momento basilare nella vita dello scrittore, viene trattato in modo un po’ troppo superficiale e sbrigativo, se rapportato al resto della pellicola, anche se non mancano alcuni passaggi davvero apprezzabili.
Se per tutto il film la passione per le lingue di Tolkien è poco più di un abbozzo, è nel momento in cui arriva ad Oxford che finalmente l’argomento viene trattato come merita. Sarà l’incontro con il professor Wright (il sempre ottimo Derek Jacobi) che tesserà quello che impareremo a conoscere nelle opere tolkieniane.
Ma anche in questo caso, quando il pubblico vorrebbe saperne di più, il tutto viene raccontato in due, sbrigative scene.
[SPOILER] C’è solo in un momento, alla fine del film, il primo e unico riferimento al mondo di Tolkien, ma che è davvero trattato con i guanti tanto da farci inconsciamente anticipare (ed è palesemente voluto) quello che John Ronald Reuel Tolkien andrà a scrivere sulla prima pagina della sua nuova pubblicazione.
In definitiva il film è godibile e ben girato. Karukoski non si prende rischi e si limita a fare il “compitino” cercando di non essere troppo fan service ma raccontando, con virtuosi movimenti macchina e scelta di colori e contrasti di luce e un sapiente uso della fotografia, una storia che bene o male tutti conosciamo. Il fatto che la durata del film non dovesse, immaginiamo, superare le due ore (il film dura 112 minuti), hanno fatto sì che molti momenti cruciali della vita di Tolkien venissero chiusi in modo troppo sbrigativo.
Quella di non nominare nessuna delle opere (mai direttamente) e nessuno dei suoi personaggi forse non è stata tanto una scelta della produzione, quanto un obbligo imposto dalla Tolkien Estate che, parole loro, non ha apprezzato assolutamente la pellicola, anzi, ne ha addirittura preso le distanze.
Parliamo del cast. Personalmente trovo Nicholas Hoult bravissimo e convincente nella sua performance ma troppo lontano, fisicamente, dal Tolkien che abbiamo conosciuto attraverso le rare immagini arrivate a noi. Al contrario, davvero somigliante alla realtà la Edith Bratt di Lily Collins, comunque anch’essa davvero sopra le righe.
Il resto del cast, soprattutto per quanto riguarda i grossi calibri come Colm Meaney, Derek Jacobi o Pam Ferris, sono per lo più dei cammei. Menzione speciale per i giovani attori che interpretano i membri del T.C.B.S.: Harry Gilby (il giovane Tolkien), Albi Malber (il giovane Robert Gilson), Adam Bregman, (il giovane Geoffrey Smith) e il bravissimo Ty Tennant, figlio adottivo di David Tennant e Georgia Moffet (il giovane Christopher Wiseman). Più che dimenticabili le loro controparti adulte, eccezion fatta per Tom Glynn-Carney ovvero Christopher Wiseman, forse il più convincente della truppa “adulta”.
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